Capitolo quarto. Il silenzio
Mi disse: fai qualsiasi altro mestiere ma non questo...
Mi disse: fai qualsiasi altro mestiere ma non questo, così mi sono iscritto a enologia di nascosto”Alessandro Pascolo
È forse in questo capitolo che più emerge quanto nel Collio l’eredità lasciata dai padri ai figli sia sempre stata scevra da qualsiasi condizionamento: quello trasmesso è stato sempre un amore libero, libero da qualsiasi imposizione. Anzi, in alcuni casi, come questo, è stato proprio il contrario: Giuseppe impone e prega il figlio di fare tutt’altro, qualsiasi cosa, ma non il vignaiolo. Ma iniziamo dall’inizio, perché questa storia inizia prima dei luoghi in cui ambientata; non è la geografia a delinearne i contorni, ma le persone, che con le loro scelte hanno contribuito a cambiare il destino di un territorio. “Siamo più attaccati al Collio di tanti altri perché alla fine questa terra l’abbiamo scelta e abbiamo costruito un’appartenenza che di sangue non avevamo”. Del Collio, infatti, si può anche non essere originari, ma diventarlo e ritrovarsi quella ponca nel sangue.
È successo così ad Angelo Pascolo, quando nel 1974 decise di lasciare la provincia di Udine e acquistare 13 ettari di terreno nel Collio, sei di vigneto, sei di bosco. Nel primo periodo il vino era “solo” un hobby, infatti continua il suo lavoro principale, ovvero la vendita di mobili; è poi invece il figlio Giuseppe a scegliere l’azienda come attività principale. Come un garibaldino teso per la sua strada, deciso più che mai a voler far crescere la cantina, senza mai sacrificare la qualità.
La filosofia di Alessandro è questa: intervenire il meno possibile, affinché il suo vino possa esprimere il più possibile il territorio; il vino per lui non dev’essere cervellotico, ma arrivare nel bicchiere senza quasi che si sappia o si senta chi l’ha fatto. “Meno si sente la mia impronta, più sono contento, perché voglio che nel mio vino esca questa collina che prese mio nonno, nel bene e nel male”.
Giulia Ubaldi